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SukabumiNetwork

Cosa distingue i gesuiti?

admin - Luglio 20, 2021

Questa conferenza intende completare una serie di quattro sui fondatori gesuiti di cui quest’anno si celebrano i giubilei. A Fordham abbiamo avuto nel 2006 una conferenza su Sant’Ignazio, una su Peter Faber, una su Francesco Saverio e ora, per completare la serie, una conferenza sul carisma ignaziano oggi. La nozione di carisma ignaziano richiede qualche spiegazione. Un carisma è un dono di grazia, conferito non per la propria santificazione personale ma per il beneficio degli altri. San Paolo ha una famosa lista di carismi nel 12° capitolo della Prima Lettera ai Corinzi. Essi includono i doni della profezia, della parola, dei miracoli e dell’interpretazione delle lingue. Se questi sono carismi conferiti ad alcuni membri della chiesa, quali carismi, se ce ne sono, sono dati a Sant’Ignazio di Loyola? Chi sono i beneficiari? Questi carismi vengono conferiti ancora oggi? E se sì, chi sono i destinatari?

In quanto segue parlerò principalmente dei doni che Sant’Ignazio possedeva in modo eminente e che si aspettava fossero applicati e tramandati con l’aiuto di Dio nella Società da lui fondata.

La vita di Sant’Ignazio fu notevolmente concentrata. A partire dalla sua lunga convalescenza a Loyola dopo essere stato ferito a Pamplona nel 1521, fu guidato da Dio attraverso una serie di tappe che culminarono nella fondazione e nell’organizzazione della Compagnia di Gesù. Anche se la Compagnia, quando fu fondata ufficialmente nel 1540, aveva solo 10 membri, compresa la cerchia ristretta dei tre di cui celebriamo gli anniversari quest’anno, tutti e 10 riconobbero senza ombra di dubbio che il vero fondatore della Compagnia di Gesù, sotto Dio, non era altri che Ignazio. Egli era dotato di un dono straordinario – un carisma, si potrebbe dire – di leadership. Il suo principale risultato fu la fondazione di un nuovo ordine religioso, per molti versi del tutto diverso da qualsiasi ordine che fosse esistito in precedenza. Era un ordine di uomini votati a vivere in mezzo al mondo con gli occhi continuamente puntati su Dio, su Gesù Cristo e sui bisogni della Chiesa.

Questi tre punti focali della visione ignaziana sono espressi in modo compatto nella bolla di Papa Paolo III del 1540, confermata da una bolla simile di Giulio III nel 1550. Entrambi questi documenti citano integralmente la Formula dell’Istituto composta da Ignazio stesso. La Formula inizia con queste parole lapidarie: “Chiunque desideri servire come soldato di Dio sotto lo stendardo della croce nella nostra Società, che desideriamo sia designata con il nome di Gesù, e servire il solo Signore e la Chiesa sua Sposa, sotto il romano pontefice, vicario di Cristo in terra, deve, dopo aver fatto voto di castità perpetua, povertà e obbedienza, tenere presente quanto segue.”

  • Focalizzarsi su Dio
  • Seguendo Gesù Cristo
  • Servendo la Chiesa
  • Dieci caratteristiche splendenti della Compagnia di Gesù
  • La saggezza dei Papi recenti
  • Sfide: I tempi di Ignazio e i nostri tempi
  • Evangelizzare il mondo

Focalizzarsi su Dio

La prima caratteristica del gesuita in questa descrizione è di essere un soldato di Dio. Chiunque entri nella Compagnia, dice la Formula, deve “prima di tutto tenere davanti agli occhi Dio e poi la natura di questo Istituto che ha abbracciato e che è, per così dire, una via verso Dio”. Secondo la sua abitudine Ignazio distingue qui tra i mezzi e il fine. Il fine per cui esiste l’ordine dei gesuiti è la maggior gloria di Dio. Nelle costituzioni che compose per la Compagnia, Ignazio ripete la formula “ad maiorem Dei gloriam” con parole uguali o simili per 376 volte. Poiché Dio è Dio, merita tutta la lode e il servizio che possiamo dargli. L’uso del comparativo “maggiore” (maiorem) è significativo. Significa il desiderio di eccellere, di cercare sempre di più (magis). Quello che abbiamo fatto e facciamo attualmente non è mai abbastanza.

Seguendo Gesù Cristo

La vita del gesuita secondo l’Istituto è in secondo luogo centrata su Gesù Cristo, che è, nella frase di Sant’Ignazio, la via che conduce alla vita. La Formula dell’Istituto specifica che la Compagnia deve essere designata con il nome di Gesù. Sant’Ignazio non si è mai considerato il capo dei gesuiti. Voleva solo essere un compagno nella sequela di Gesù, il vero capo della Compagnia.

Sant’Ignazio ricevette una grazia notevole mentre pregava nella cappella della Storta, appena fuori Roma, nell’ottobre 1537, insieme a Peter Faber e Diego Laínez. Fu, come egli dichiara, “visitato in modo molto speciale dal Signore”, che vide portare la sua croce sulla spalla alla presenza di suo Padre, il quale disse a Ignazio: “Voglio che tu ci serva”. Da quel momento in poi, Sant’Ignazio non dubitò mai che il Padre lo avesse posto con il Figlio; insistette adamantinamente che la nuova congregazione doveva chiamarsi Compagnia di Gesù.

Già nella meditazione sulle due norme degli Esercizi Spirituali, scritta qualche anno prima, Ignazio fece chiedere al ritirante la grazia di essere ricevuto sotto la norma di Cristo. E così nella Formula dell’Istituto fa esprimere a coloro che entrano nella Compagnia il desiderio di combattere sotto la bandiera della croce. Questo è un impegno a lottare incessantemente contro grandi difficoltà e a combattere coraggiosamente, senza curarsi delle ferite, imitando l’esempio di Cristo che ha abbracciato la croce per compiere la nostra redenzione.

Servendo la Chiesa

La terza componente è quella ecclesiale. Totalmente e inequivocabilmente un uomo di Chiesa, Ignazio scrive nella Formula dell’Istituto che il futuro gesuita deve essere deciso a servire “solo il Signore e la Chiesa sua sposa”. Qui possiamo rilevare un’eco delle famose “Regole per pensare con la Chiesa” di Ignazio, alla conclusione degli Esercizi Spirituali, dove egli rifiuta di ammettere qualsiasi discrepanza tra il servizio di Cristo e la Chiesa. “Devo essere convinto”, scrive, “che in Cristo nostro Signore, lo sposo, e nella sua sposa, la Chiesa, regna un solo Spirito, che governa e regola per la salvezza delle anime”. La Chiesa gerarchica e romana, dice, è “la vera sposa di Cristo nostro Signore, la nostra santa Madre”

La fedeltà di sant’Ignazio non è a qualche idea astratta di chiesa, ma alla chiesa come esiste concretamente sulla terra, con il pontefice romano al suo vertice. I papi dell’epoca di sant’Ignazio possono non essere stati gli uomini più santi e più saggi, ma egli li guardava con gli occhi della fede e vedeva in ognuno di loro il vicario di Cristo per l’insegnamento e il governo della chiesa universale. Già nel 1534, quando i sette compagni originali presero i voti a Montmartre, ebbero l’idea di mettersi a disposizione del papa, chiedendogli di assegnarli alle missioni che riteneva più urgenti. Dopo l’approvazione papale dell’Istituto nel 1540, Ignazio si stabilì a Roma, dove trascorse il resto della sua vita per essere accessibile al papa.

Per ora ho esposto lo scopo della Compagnia di Gesù solo nei termini più generali: la gloria di Dio, il servizio di Cristo e la disponibilità al papa. Ignazio doveva ancora specificare quale tipo di servizio il suo ordine sarebbe stato disposto ad offrire. Anche questo è menzionato nella Formula dell’Istituto. Nella frase che segue quella che ho citato, sant’Ignazio scrive: Chiunque voglia entrare deve sapere che sta chiedendo di essere “membro di una Società fondata principalmente per questo scopo: lottare specialmente per la difesa e la propagazione della fede e per il progresso delle anime nella vita e nella dottrina cristiana”. E poi menziona vari mezzi con cui questi obiettivi devono essere raggiunti: “predicazione pubblica, altri ministeri della parola di Dio, esercizi spirituali, educazione al cristianesimo, ascolto delle confessioni e amministrazione di altri sacramenti”. E poi nella frase successiva la Formula parla di alcune opere di carità: riconciliare gli estranei, assistere le persone nelle prigioni e negli ospedali e servizi simili.

Dieci caratteristiche splendenti della Compagnia di Gesù

Negli ultimi anni sono stati fatti diversi tentativi di raccogliere alcuni principi che risplendono negli scritti di Sant’Ignazio e sono considerati come caratteristiche permanenti della Compagnia da lui fondata. Qualsiasi elenco di questo tipo presuppone, naturalmente, gli elementi comuni a tutti gli ordini religiosi della Chiesa cattolica, compresa la fedele osservanza dei voti abituali della religione: povertà, castità e obbedienza. Le seguenti 10 caratteristiche possono servire come sintesi di ciò che è più specifico dello spirito di Sant’Ignazio.

1. Dedizione alla gloria di Dio, il “Dio sempre più grande”, che non potremo mai lodare e servire abbastanza. Questo dà al gesuita una sorta di santa inquietudine, uno sforzo incessante per fare meglio, per raggiungere il più o, in latino, il magis. Si può dire che Ignazio sia stato un uomo intossicato da Dio, nel senso che ha fatto della “maggior gloria di Dio” la norma suprema di ogni azione, grande o piccola.

2. Amore personale per Gesù Cristo e desiderio di essere annoverato tra i suoi compagni più vicini. Ripetutamente negli Esercizi i gesuiti pregano di conoscere Cristo più chiaramente, di amarlo più profondamente e di seguirlo più da vicino. Predicando nelle città d’Italia, i primi compagni imitavano deliberatamente lo stile di vita dei discepoli che Gesù aveva mandato ad evangelizzare le città della Galilea.

3. Lavorare con, nella e per la chiesa, pensando sempre alla chiesa in obbedienza ai suoi pastori. In tutte le Costituzioni, Ignazio insiste sull’insegnamento della dottrina che è “più sicura e approvata”, in modo che gli studenti possano imparare la “dottrina più solida e sicura”.

4. Disponibilità. Essere a disposizione della chiesa, disponibile a lavorare in qualsiasi luogo, per il bene maggiore e più universale. Considerando la Compagnia come la milizia spirituale del papa, sant’Ignazio vede il mondo intero, per così dire, come il suo campo di operazioni. Ispirato da questa visione cosmica, non ammette divisioni basate su frontiere nazionali e legami etnici.

5. Unione reciproca. I gesuiti devono vedersi come parti di un corpo legato da una comunione di menti e di cuori. Nelle Costituzioni Sant’Ignazio affermava che la Compagnia non poteva raggiungere i suoi fini se i suoi membri non erano uniti da un profondo affetto tra loro e con il capo. Molti autori citano a questo proposito il termine usato da Ignazio per i suoi primi compagni: “amici nel Signore”

6. Preferenza per i ministeri spirituali e sacerdotali. I gesuiti sono un ordine sacerdotale, i cui membri professi devono essere tutti ordinati, anche se la cooperazione di coadiutori spirituali e laici è molto apprezzata. Nella scelta dei ministeri, Ignazio scrive che “i beni spirituali devono essere preferiti a quelli corporali”, poiché sono più favorevoli al “fine ultimo e soprannaturale”

7. Discernimento. Ignazio era un maestro della vita pratica e dell’arte di prendere decisioni. Distingueva attentamente tra fini e mezzi, scegliendo i mezzi più adatti per raggiungere il fine in vista. Nell’uso dei mezzi applicava coerentemente il principio: “tantum…quantum”, che significa “quanto serve”, ma non di più. A questo proposito insegna la disciplina dell’indifferenza, nel senso di distacco da tutto ciò che non è da cercare per se stesso.

8. Adattabilità. Ignazio fece sempre molta attenzione ai tempi, ai luoghi e alle persone con cui aveva a che fare. Si preoccupava di inquadrare le leggi generali in modo tale da consentire flessibilità nell’applicazione.

9. Rispetto per le capacità umane e naturali. Sebbene Ignazio si affidasse principalmente a mezzi spirituali, come la grazia divina, la preghiera e il ministero sacramentale, egli teneva conto delle capacità naturali, dell’apprendimento, della cultura e delle maniere come doni da usare per il servizio e la gloria di Dio. Per questo motivo mostrò un vivo interesse per l’educazione.

10. Una sintesi originale della vita attiva e contemplativa. Jerome Nadal (1507-80) ha parlato della pratica gesuita “di cercare una perfezione nella nostra preghiera e negli esercizi spirituali per aiutare il nostro prossimo, e per mezzo di questo aiuto al prossimo acquisire ancora più perfezione nella preghiera, per aiutare ancora di più il nostro prossimo”. Secondo Nadal, è una grazia speciale di tutta la Compagnia essere contemplativa non solo nei momenti di ritiro ma anche in mezzo all’azione, “cercando così Dio in tutte le cose”

La saggezza dei Papi recenti

In vista del mio incarico di parlare del carisma ignaziano oggi, mi sposterò subito al XX secolo e agli anni dopo il Concilio Vaticano II. I papi, come massimi superiori di tutti i gesuiti, ci hanno dato sagge direttive riguardo all’applicazione del nostro carisma gesuita alle necessità del momento. Si sono rivolti a ciascuna delle quattro congregazioni generali tenutesi dal 1965. Sulla teoria che il carisma della Compagnia è correlativo alla sua missione, esaminerò in particolare le ingiunzioni dei papi recenti.

Parlando alla 31a Congregazione Generale il 7 maggio 1966, Papa Paolo VI si congratulò con la Compagnia per essere “la legione sempre fedele al compito di proteggere la fede cattolica e la Sede Apostolica”. Colse l’occasione per incaricare i gesuiti di una nuova missione: assumere una “posizione ferma e unita contro l’ateismo”, che si stava rapidamente diffondendo in quel periodo, “spesso mascherato da progresso culturale, scientifico o sociale”

In un discorso alla seconda sessione della stessa congregazione, il 16 novembre 1966, Paolo VI sollevò la questione se alcuni gesuiti stessero accettando norme naturalistiche per il loro apostolato e indebolendo quella tradizionale fedeltà alla Santa Sede che era stata così cara a Sant’Ignazio. Nel suo “Decreto sulla missione della Compagnia oggi”, la Congregazione Generale 31 accettò il mandato di affrontare l’ateismo e offrì la Compagnia completamente alla chiesa sotto la direzione del papa.

Nel suo discorso alla 32a Congregazione Generale il 3 dicembre 1974, Papa Paolo VI fece riferimento alla “vocazione e al carisma propri dei gesuiti”, trasmessi da una tradizione ininterrotta, che include la conformità alla volontà di Dio e a quella della chiesa. In una preziosa analisi, ha ricordato ai gesuiti la loro quadruplice vocazione: essere religiosi, essere apostolici, essere sacerdoti ed essere uniti al vescovo di Roma. Li ammonì a non lasciarsi sedurre dalla prospettiva abbagliante dell’umanesimo mondano e dalla ricerca della novità fine a se stessa. Nella corrispondenza successiva rinnovò i suoi precedenti avvertimenti affinché la Compagnia di Gesù mantenesse il suo carattere religioso e sacerdotale ed evitasse modi di agire più appropriati a istituti secolari e movimenti laici. Il ruolo dei gesuiti ordinati, disse, dovrebbe essere chiaramente distinto da quello dei laici.

In risposta, la 32a Congregazione Generale riaffermò con forza la riverenza e la lealtà della Compagnia alla Santa Sede e al magistero della Chiesa. Ha sottolineato il carattere sacerdotale (o sacerdotale) della Società, pur riconoscendo il valore del contributo dei coadiutori laici.

Papa Giovanni Paolo II, il 2 settembre 1983, tenne un’omelia alla 33a Congregazione Generale. Lo spirito ignaziano, ha detto, è un carisma speciale che fa della Compagnia di Gesù uno strumento privilegiato dell’azione della Chiesa a tutti i livelli. Dopo aver ripetuto il mandato di Paolo VI di resistere all’ateismo, ha parlato del pericolo di confondere i compiti propri dei sacerdoti con quelli dei laici. “La conoscenza intima, l’amore forte e la più stretta sequela del Signore”, ha detto, “sono l’anima della vostra vocazione”

Giovanni Paolo II, nella sua allocuzione alla Congregazione Generale 34 del 5 gennaio 1995, ha parlato del singolare carisma di fedeltà al successore di Pietro, che contraddistingue la Compagnia di Gesù come essere “totalmente e senza riserve della Chiesa, nella Chiesa e per la Chiesa”. Il carisma della Compagnia, ha detto, deve rendere i gesuiti testimoni del primato di Dio e della sua volontà, che indica il primato della spiritualità e della preghiera. Ha chiesto che i gesuiti, cercando di seguire la guida di San Francesco Saverio nell’evangelizzazione missionaria, siano in prima linea nella nuova evangelizzazione, promuovendo una profonda relazione interiore con Gesù Cristo, il primo evangelizzatore. Nelle loro università, ha detto Sua Santità, i gesuiti dovrebbero insegnare una conoscenza chiara, solida e organica della dottrina cattolica. Dovrebbero essere molto attenti a non confondere i loro studenti con insegnamenti discutibili, in contrasto con la dottrina della Chiesa sulla fede e la morale.

Benedetto XVI, in un discorso del 22 aprile 2006, celebrando l’anno giubilare in corso, ha esortato la Compagnia a continuare nella sua tradizione di impartire una solida formazione in filosofia e teologia come base per il dialogo con la cultura moderna. La Compagnia di Gesù, ha detto, gode di una straordinaria eredità nella santità di Sant’Ignazio, nello zelo missionario di Francesco Saverio e nell’apostolato di Peter Faber tra i leader della Riforma. In molti dei suoi discorsi questo papa si è allineato con Paolo VI e Giovanni Paolo II insistendo sul fatto che il compito primario e indispensabile del sacerdote è quello di essere un esperto nella vita spirituale e un testimone della verità della rivelazione. La promozione della giustizia nella società, secondo lui, è principalmente una responsabilità dei laici.

Sfide: I tempi di Ignazio e i nostri tempi

Le sfide dei nostri giorni sono certamente diverse da quelle del XVI secolo; ma sono, credo, analoghe, e per questa ragione, sostengo, la Compagnia è ben posizionata per affrontarle. Il suo carisma non è affatto superato. Il XVI secolo, come il nostro, fu un’epoca di rapidi e radicali cambiamenti culturali. Quell’epoca fu testimone dell’ascesa dell’umanesimo antropocentrico, della nascita dello stato laico e dell’autonomia delle scienze sociali e fisiche. I gesuiti che hanno studiato la propria tradizione hanno esempi stellari di studiosi che si sono attrezzati per entrare in questi nuovi campi e mostrare la coerenza tra il nuovo sapere e il patrimonio cattolico di fede. Basti pensare alla filosofia economica e giuridica di Luis de Molina (1535-1600) e Juan de Lugo (1583-1660), alle conquiste astronomiche di Cristoforo Clavio (1537-1612), alle teorie atomiche di Roger Boscovich (1711-87), e a tanti altri grandi pensatori gesuiti del passato. Hanno parlato in modo incisivo dei problemi del loro tempo, costruendo ponti tra fede e ragione, tra teologia e scienza. Ai nostri giorni alcuni gesuiti si stanno avventurando in questioni riguardanti le origini cosmiche e umane e in complessi problemi di biochimica e ingegneria genetica, tutti così vitali per il futuro della fede e della morale.

Il XVI secolo ebbe le prime esperienze di globalizzazione. Era la grande epoca delle scoperte. I gesuiti, desiderosi di evangelizzare il mondo intero, erano leader nell’apostolato missionario nelle Americhe, in alcune parti dell’Africa, in India e in Estremo Oriente. Non solo inviarono missionari, ma li addestrarono anche a presentare il Vangelo in un modo adatto alle culture dei vari popoli. Francesco Saverio (1506-22) è il più famoso, ma non fu affatto solo. Matteo Ricci (1552-1610) e Robert de Nobili (1577-1656) sono solo due delle decine di eccezionali missionari che predicarono il Vangelo in una forma inculturata, ispirata ai principi di Sant’Ignazio.

L’annuncio in uno stile accomodante non è meno necessario oggi che nel passato. I campi sono bianchi per il raccolto, ma gli operai sono pochi. Chi può soddisfare meglio l’urgente richiesta di sacerdoti per annunciare il Vangelo e amministrare i sacramenti in continenti come l’Africa, dove le conversioni al cristianesimo sono così numerose e rapide? I gesuiti nelle giovani chiese, se sono ben formati, possono assumere il compito lasciato loro dai missionari stranieri.

L’epoca di Ignazio non era estranea allo scontro di civiltà. Il mondo musulmano e quello cristiano erano impegnati in una guerra incessante. Gli ebrei venivano maltrattati e perseguitati in molti paesi. I missionari gesuiti incontrarono una feroce opposizione da parte dei leader religiosi praticamente in ogni paese che evangelizzavano. Nel corso del tempo, divennero leader nel dialogo interreligioso. I missionari impararono a rispettare ciò che c’è di buono nelle culture indigene, mentre setacciavano la pula. Questo è ancora oggi un compito di grande urgenza. I gesuiti hanno nella loro tradizione ricche risorse per imparare come e come non trattare con le religioni non cristiane. I conflitti sanguinosi e le provocazioni inutili devono essere evitati, mentre, d’altra parte, i cristiani devono opporsi francamente agli elementi di ogni religione e di ogni cultura che promuovono la superstizione o l’ingiustizia.

Il XVI secolo vide la divisione della cristianità occidentale tra le nazioni protestanti del nord Europa e le nazioni cattoliche del sud. I gesuiti, per quanto pochi, realizzarono grandi cose con la loro energia ed eroismo. Pietro Faber (1506-46) fece un lavoro straordinario per arginare la marea dell’eresia in Germania e nei Paesi Bassi. Ispirò Pietro Canisio (1521-97) e una schiera di altri ad andare avanti sulle sue orme. Ci si chiede cosa avrebbero fatto i gesuiti di allora se fossero vivi oggi nel vedere la defezione di così tanti cattolici latini dalla chiesa negli Stati Uniti e nell’America centrale e meridionale. La necessità è evidente; i principi sono chiari; ma ci sono troppo pochi candidati di talento per assumere il compito.

La centralizzazione della chiesa era imperativa ai tempi di Sant’Ignazio. Egli stesso percepì chiaramente la necessità del papato come sede della chiesa universale. Vide che il cattolicesimo doveva essere universale e che il nazionalismo e l’etnocentrismo non potevano avere posto in esso. Fondò una Società composta da spagnoli, portoghesi, francesi, tedeschi, italiani, inglesi e molti altri che lavoravano insieme in un apostolato indiviso sotto la direzione di un unico superiore generale. Una delle grandi benedizioni della Compagnia di Gesù, oggi come in passato, è il suo orizzonte mondiale. I gesuiti sono “amici nel Signore” senza distinzioni di nazionalità, origine etnica o classe sociale.

Una grande debolezza della chiesa nell’Europa dei tempi di Sant’Ignazio era l’ignoranza della fede. Molti sacerdoti erano a malapena alfabetizzati, e i laici in alcuni paesi non conoscevano gli elementi di base del Credo. Piuttosto che lamentarsi e denunciare, Ignazio preferì costruire. L’educazione popolare, egli percepì, era in aumento. Approfittando del nuovo desiderio di apprendimento, Ignazio si mise subito a fondare scuole, collegi e seminari. Gli sforzi educativi dei gesuiti nel passato contano tra i loro più grandi servizi alla Chiesa. Queste istituzioni educative, credo, sono ancora tra le maggiori benedizioni che la Compagnia di Gesù offre alla chiesa e alla cultura in generale.

I gesuiti in passato sono entrati profondamente nell’apostolato intellettuale. Molti sono stati leader nelle scienze pratiche come la teoria politica. Possono guardare indietro ad una grande tradizione che si estende da Francisco Suárez nel XVI secolo a John Courtney Murray nel XX. Nulla suggerisce che questo tipo di ricerca abbia perso la sua rilevanza. La Chiesa ha bisogno di studiosi leali e devoti che portino avanti questo tipo di riflessione, in vista di situazioni nuove e in sviluppo. Anche qui la Compagnia ha molto da contribuire se un numero sufficiente di persone sentirà la chiamata.

Nel XVI secolo, la Compagnia di Gesù fu all’avanguardia della chiesa nell’affrontare i problemi posti dalla Riforma Protestante, dalla nuova scienza e dall’accesso a nuovi continenti che erano stati al di là della consapevolezza degli europei in passato. Oggi la Chiesa si confronta con un secolarismo crescente, con i nuovi progressi della tecnologia, con una crescente globalizzazione e un conseguente scontro di culture. Se qualcuno dovesse chiedere se questi sviluppi rendono obsoleti i carismi ignaziani, risponderei con un secco no.

La Compagnia può essere al passo con i tempi se aderisce ai suoi scopi e ideali originali. Il termine “gesuita” è spesso frainteso. Per non parlare dei nemici per i quali gesuita è un termine di obbrobrio, gli amici della Compagnia talvolta identificano il termine con l’indipendenza di pensiero e l’orgoglio corporativo, entrambi deplorati da sant’Ignazio. Altri riducono il marchio gesuita a una questione di tecniche educative, come la cura personale degli studenti, la preoccupazione per tutta la persona, il rigore nel pensiero e l’eloquenza nell’espressione. Queste qualità sono stimabili e hanno una base nell’insegnamento di Sant’Ignazio. Ma omettono qualsiasi considerazione sul fatto che la Compagnia di Gesù è un ordine di religiosi con voti nella Chiesa Cattolica. Essi sono legati da una speciale fedeltà al Papa, il vescovo di Roma. E soprattutto, bisogna ricordare che la Compagnia di Gesù riguarda principalmente una persona: Gesù, il redentore del mondo. Se la Compagnia dovesse perdere la sua speciale devozione al Signore (cosa che, confido fermamente, non accadrà mai) sarebbe davvero obsoleta. Sarebbe come il sale che ha perso il suo sapore.

Evangelizzare il mondo

Il più grande bisogno della Compagnia di Gesù, credo, è di essere in grado di proiettare una visione più chiara del suo scopo. I suoi membri sono impegnati in attività così diverse che la sua unità è oscurata. A questo proposito i papi recenti hanno dato un grande aiuto. Paolo VI ha utilmente ricordato ai gesuiti che sono un ordine religioso, non un istituto secolare; che sono un ordine sacerdotale, non un’associazione laica; che sono apostolici, non monastici; e che sono legati all’obbedienza al papa, non completamente auto-diretti.

Papa Giovanni Paolo II, nel dirigere i gesuiti a impegnarsi nella nuova evangelizzazione, ha individuato un obiettivo che corrisponde perfettamente all’idea fondante della Compagnia. Ignazio fu irremovibile nell’insistere che essa prendesse il nome di Gesù, il suo vero capo. Gli Esercizi Spirituali sono incentrati sui Vangeli. L’evangelizzazione è esattamente ciò che i primi gesuiti fecero mentre conducevano missioni nelle città d’Italia. Vivevano una vita di povertà evangelica. L’evangelizzazione fu la somma e la sostanza di ciò che San Francesco Saverio realizzò nei suoi ardui viaggi missionari. E l’evangelizzazione è al centro di tutti gli apostolati gesuiti nell’insegnamento, nella ricerca, nella spiritualità e nell’apostolato sociale. L’evangelizzazione, inoltre, è ciò di cui il mondo oggi ha più bisogno. La figura di Gesù Cristo nei Vangeli non ha perso la sua attrattiva. Chi dovrebbe essere più qualificato per presentare questa figura oggi dei membri della Società che porta il suo nome?

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